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Cerasuolo di Vittoria, la storia e i profumi del Suddest Sicilia in un bicchiere

“Il bouquet è fragrante e stimolante come un venticello fresco in una giornata afosa. Sento il suo richiamo e sollevo lentamente il bicchiere fino alle labbra socchiuse, che avvertono il calore gradito del sole che filtra attraverso una nuvola.

Il primo sorso lancia un corroborante lampo di energia attraverso il mio corpo, come una corrente elettrica che pizzichi appena. Gli aromi del vino mi schiudono nella mente un panorama mozzafiato […]. Mi soffermo su quel panorama incantevole, trattengo a lungo il vino in bocca, dimenticando il mondo esterno con tutti i suoi guai e le sue sofferenze e quando infine lo inghiotto sento ancora i suoi richiami echeggiare lungo le valli. E mi dissolvo…”

vendemmia cerasuolo

Le parole dello scrittore tedesco Stuart Pigott sembrano ritagliate da un brano di un romanzo breve che potremmo ambientare sul terrazzo di una masseria affacciata sulla piana che dal balcone naturale di Chiaramonte Gulfi degrada verso Vittoria e Comiso. Gli elementi non mancherebbero: campagne assolate a perdita d’occhio, chiuse a sud dalla striscia turchese del Mare d’Africa, filari di vite ordinati dentro una fitta trama di muri a secco e, dentro il calice di cristallo, la conturbante alchimia dal colore rosso rubino di un bel 60% di Nero d’Avola e 40% di Frappato.

Signore e signori ecco a voi sua maestà il Cerasuolo di Vittoria, re incontrastato dei rossi siciliani, dall’alto dei suoi riconoscimenti altisonanti che lo hanno portato ufficialmente nelle alte sfere dell’enologia internazionale.

Come al tempo dei Romani
Tutti sanno che al tempo dell’antica Roma il vino si conservava nelle anfore. Ma in pochi, fino a qualche anno fa, conoscevano la storia di Titta Cilia e Giusto Occhipinti, due paladini della biodiversità, che da una quindicina d’anni vinificano una buona parte del loro Cerasuolo di Vittoria in grandi otri di terracotta prodotte nel sud della Spagna. Quando loro hanno cominciato succedeva solo in alcune cantine del Caucaso e in un’azienda friulana e si trattava di vino bianco. Oggi sono in molti in Italia ad avere seguito le loro orme.

Titta Cilia e Giusto Occhipinti Cos

 “All’inizio eravamo preoccupati per i risvolti igienico sanitari o legislativi della produzione del vino con il passaggio in anfora –ricorda Occhipinti- ma abbiamo fatto una straordinaria (almeno per noi) scoperta: proprio la legislazione in materia di vinificazione recita che i materiali consentiti riguardo ai contenitori per la conservazione ed affinamento del vino sono il legno, l’acciaio, la plastica, il cemento e la terracotta. Le anfore funzionano anno dopo anno. Anzi, migliorano con il tempo ed è estremamente facile pulirle al contrario degli altri materiali che hanno bisogno di una manutenzione complessa e dispendiosa. Con la terracotta basta la fiamma di un cannello e in mezz’ora è disinfettata”.

In fatto di gusto parliamo di un altro vino? 

“Grazie alla terracotta, possiamo lasciare le vinacce per otto mesi, rispetto ai trenta giorni di legno e acciaio –aggiunge il titolare della cantina COS- inoltre sviniamo ad aprile, anche se il prodotto potrebbe restare tranquillamente con la propria feccia originaria per molto altro tempo. Il sapore? E’ come l’acqua dentro il cosiddetto ‘bummolo’, l’antico otre in argilla, in cui diventa mineralizzata, per il vino avviene la stessa cosa anche nel gusto. Il vino ha profumi di frutta fresca con una forte componente vinosa e siamo talmente soddisfatti che stiamo aumentando la quantità fino ad arrivare a 300 anfore”.

otri

La materia prima arriva dalla Spagna del sud. Originariamente Giusto Occhipinti e Titta Cilia avevano provato a conservare il vino in tre tipi diversi di anfore: una proveniente dalla Tunisia, l’altra da un’azienda siciliana e l’altra ancora appunto dal sud della penisola iberica. Il vino migliore è risultato quello conservato in quest’ultima, probabilmente grazie ad un maggior equilibrio tra acqua e argilla e ad una migliore cottura in forno.

“Pensi che successivamente un professore universitario di storia mi raccontò che tutte le anfore recuperate dalle antiche navi naufragate nel Mediterraneo erano di fattura spagnola”.

Corsi e ricorsi…

L’azienda
COS è stata fondata nel 1980, da Giambattista Cilia, Cirino Strano e Giusto Occhipinti. Tre amici che hanno voluto ripercorrere quello che un tempo era stata l’attività dei loro antenati. L’acronimo dei loro cognomi (Cilia-Occhipinti-Strano) da origine al nome dell’Azienda, ancora oggi una Società Semplice. Nel 1980 sono i più giovani produttori di vino d’Italia. La Cos inizia così la sua avventura che la porterà a realizzare una radicale ristrutturazione del Cerasuolo di Vittoria. Nel 1991 viene acquistata Villa Fontane, una proprietà di 9 ettari della Famiglia Moltisanti nella Contrada Fontane-Baucina. Vengono impiantati i primi 8 ettari di vigneto.

cos esterno

Nel 1995 Titta e Giusto rimangono gli unici proprietari della Cos che nel frattempo acquisisce nuovi e pregiati appezzamenti limitrofi. L’azienda segue i principi della viticoltura biodinamica per aiutare la vigna a trovare e mantenere l’equilibrio in sintonia con la natura e per far esprimere al vino la profondità del carattere dei propri suoli.
Inizia ad utilizzare recipienti di terracotta. Materiale che non cede alcuna caratteristica aromatica. Le prime anfore arrivano dalla Spagna nel settembre del 2000. Nasce Pithos, un Cerauolo di Vittoria, fermentato ed affinato interamente in anfore. E’ l’inizio di un progetto che porterà la Cos ad allontanarsi definitivamente da una certa convenzionalità produttiva, affermando un vero e proprio Cos Style.

La vittoria del Consorzio di tutela del Cerasuolo di Vittoria
Sono trascorsi ormai quasi 8 anni da quando alla mezzanotte del 30 giugno 2006, è stata stappata la prima bottiglia con il marchio Docg, al termine del countdown che ha scandito l’attesa per la messa in vendita del primo vino siciliano ad aver conquistato la Denominazione di Origine Controllata e Garantita. La stessa emozione si rivisse alla stessa ora del 30 marzo 2007, quando fu stappata la prima bottiglia di Cerasuolo di Vittoria Docg Classico.

Raggiunto il riconoscimento, l’attività del Consorzio di Tutela del Cerasuolo di Vittoria, adesso, si occupa del controllo per la certificazione del prodotto e della sua valorizzazione.  In particolare, sono state istituite la Docg Cerasuolo di Vittoria e la Docg Cerasuolo di Vittoria Classico. Cinque sono invece le Doc di ricaduta: Vittoria Rosso, Vittoria Nero D’Avola, Vittoria Frappato, Vittoria Inzolia e Vittoria Novello.

giusto occhipinti

Il fascino dell’ospitalità slow
Chi avrà la fortuna di percorrere gli itinerari toccati dalla Strada del Vino Cerasuolo di Vittoria, potrà godere di un’ospitalità attenta e sempre più qualificata che si adegua ai ritmi lenti imposti da un turismo sempre più proteso alla scoperta delle tradizioni locali e dei luoghi fuori dalle rotte convenzionali.  

casa talia

A Modica merita una menzione un bed & breakfast ricavato da un gruppetto di vecchie case in pietra nel cuore della città in cui il turista si sente come in un riad marocchino. Si tratta di Casa Talia, luogo di sicuro charme, in via Exaudinos, 1/9, ristrutturato e gestito da una coppia di Milanesi che da una manciata di ruderi hanno ricavato quattro camere con ingresso indipendente, tutte affacciate su un suggestivo giardino.

taverna nicastro

Chi non vuole fare tanta strada per il pranzo o per la cena, e si lascia coinvolgere dallo slow food, sempre a Modica troverà giusta accoglienza alla Taverna Nicastro, in via Sant’Antonio, a Modica Alta, a poche centinaia di metri dal Belvedere Pizzo. Si tratta di una tappa obbligata per chi vuole lasciarsi conquistare dalla cucina tradizionale modicana, a cominciare dagli antipasti: gelatina di maiale, arancine, pastiere di carni miste. Tra i primi sono impedibili i cavatieddi e i ravioli al sugo di maiale, mentre i secondi sono arricchiti dal coniglio alla stimpirata, la ‘mpanata di agnello e le chiocciole saltate in padella.
Da Vittoria, città che dà il nome al grande Cerasuolo, una veloce deviazione ci porta alla frazione balneare di Scoglitti, dove sono in molti a fermarsi per una buon pasto a base di pesce al ristorante Sakalleo, in piazza Cavour. A farla da padrone il pescato di giornata, tanto che è impossibile sperare di dare una sbirciata al menù cartaceo. Si comincia con gli antipasti in crudo come le alici e i gamberi marinati o i fasolari crudi, oppure tonno alla griglia con salmoriglio, polpo bollito e sarde a beccafico, cozze scoppiate e scampi arrostiti. I primi piatti sono caratterizzati solitamente da un dittico: spaghetti al nero di seppia e con le vongole, pennette al pesce spada o linguine con la bottarga. Si chiude con gli arrosti misti o con la zuppa di pesce ed il cous cous.

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